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14 dicembre 2017 4 14 /12 /dicembre /2017 10:35

Viviamo un momento quasi paradossale: da un lato la  libertà femminile è in piena espansione dall’altro ci sono pericolose arretratezze.
Ma, a differenza di quanto molti credono, ovvero che il femminismo sia morto, i movimenti delle donne sono più vivi che mai, sui  social, sui media, sui giornali femminili anche in tv, seppur da quel frangente, siamo ancora indietro. Sono tanti, virali, gioiosi E PUNTANO SOPRATTUTTO AL RAPPORTO CON GLI UOMINI.
Wall of dolls, ovvero il muro delle bambole, si può dire si inserisca a pieno titolo nella nuova ondata femminista essendo delle istallazioni performanti ed efficaci contro la  violenza alle donne che colpiscono l'immaginario e scuotono la coscienza. 

Come è sempre stato, anche in quest'epoca il femminismo non è un movimento omogeneo.
Molte le idee divergenti su temi importanti, molti i conflitti, che, nonostante i luoghi comuni, sono ancora duri a morire, le donne sono tutt'altro che indebolite da tali contrasti. Come i movimenti degli anni ‘70 hanno portato un'ondata di libertà femminile non indifferente facendo traballare, spesso anche crollare in molte delle sue parti, il patriarcato, oggi assisto intorno a me a un nuovo femminismo, un movimento trasformato rispetto a quello precedente, che porta in sé tante linee diverse anche, se, spesso, in conflitto ma che rinforzano invece di indebolire la richiesta di libertà e di indipendenza da parte delle donne. Intorno a me per cominciare mi relaziono con donne forti,determinate, piene di energia e progetti. Poi leggendo le riviste femminili, osservo molta attenzione al gender gap  e a tutte le forme di discriminazione. 
Quali sono queste nuove forme di femminismo?
Le chiamerei forme del pensiero che si concretizzano in gruppi 2.0 su internet, nei social e nei media. Mi colpiscono i giornali dedicati alle donne che spingono le ragazze all’indipendenza, ad esser forti e fiere di sè, a non drammatizzare se sono in sovrappeso o diverse dalle icone della bellezza e parlano sempre più spesso di femminismo o  femminilismo o femminismo 2.0. 
Se da un lato la tv è ancora un fanalino di coda rispetto l'immagine femminile (spesso solo sexy e stereotipata), da un altro stanno emergendo tantedonne autorevoli.
Insomma, certo di lavoro ce n’è ancora tanto da fare ma  il femminismo è vivo,  più vivo che mai, e si sta espandendo a tanti ambiti, con tutte le differenze, a  volte, con contraddizioni,ma alla fine portando davvero libertà femminile.
Quello che sento io dal   profondo   è che il pensiero femminile è diffuso e mi indica di impegnarmi, studiare e lavorare per essere me stessa, indipendente e libera.
Inoltre queste nuove ondate di femminismo oltre ad essere gioiose e virali, promuovono il rapporto con gli uomini, perchè come scrivono tante femministe storiche, è nella relazione intima tra donna e uomo che si consuma il potere del patriarcato ed è a partire da lì che si può modificare radicalmente l’ordine simbolico e culturale.
Sono stata al Wall of dolls di Milano, che ora ha anche una sede  presso la casa di Alda Merini, sabato 25 novembre e devo dire che le manifestazioni tra ospiti, musica, arte e cultura sono risultate pienamente riuscite. 
Femminismo tremendamente vivo, quindi!

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serenafuart
24 maggio 2017 3 24 /05 /maggio /2017 18:26

 

 

 

Il femminismo della Libreria delle Donne, della Lud di Lea Melandri e tante altre realtà hanno cambiato il mondo, generando l’avvento della libertà femminile. Ad oggi in molte città e molti paesi le donne si sentono libere e sono soggetti della loro vita. In molte  parti del mondo si trovano in ogni sfera del sociale, stanno creando un nuovo simbolico a partire dalla differenza sessuale.

Questo non esclude le lotte che si devono ancora fare perché ci sono ancora molte troppe discriminazioni e piaghe sociali (femminicidi, violenza, stalking, disparità di trattamento in certi ambiti sociali).

Si dice che il femminismo è morto. Beh non è vero. Certo le rivendicazioni di piazza e i grandi collettivi non ci sono più. Ma il nuovo femminismo viaggia sul web e nelle relazioni in ogni ambito del sociale. Le donne parlano in rete, combattono le loro battaglie, creano blog e sono sui social.

Naturalmente ci si trova in presenza ma non necessariamente nei collettivi. Ci sono luoghi di ritrovo e di svago (come l’Alveare Milano) dove divertendosi si riflette e produce nuovo pensiero e cultura femminile. E ci sono nuovo lotte da fare contro la violenza per esempio,trovare nuove dimensioni di vita all’interno del precariato. Deleuze diceva che in ogni dispositivo sociale c’è una via di fuga. E’ chiaro che il dispositivo sociale di vent’anni fa non esiste più. Ce n’è uno nuovo che ancora non è ben conosciuto.Occorre capirlo e trovare le vie di fuga. O come diceva  Foucault resistergli!!!

Ma occorre capirlo. Il femminismo c’è e si da da fare. Con forme diverse. E’ un femminismo non più 2.0 ma 4.0 è virTuale e in presenza ovunque. Va riconosciuto  e valorizzato. 4.0 perché le donne hanno sempre due dimensioni in più di visione del mondo.

 

Serena Fuart

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serenafuart
7 aprile 2016 4 07 /04 /aprile /2016 11:11
Femminismo tremendamente vivo

Il femminismo non è morto...le donne parlano, fanno politica sia istituzionale che quella del simbolico, guadagnano ogni giorno nuovi spazi di libertà...

Certo c'è ancora molto da fare, il colpo di coda del patriarcato è una bella gatta da pelare...

ma il femminismo c'è,è virale sui social e nella rete della vita e delle relazioni.

Il titolo del post è preso da una serie di incontri alla Libreria delle donne.

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serenafuart
21 gennaio 2016 4 21 /01 /gennaio /2016 14:03

I fatti di Colonia, maternità surrogata, l'emendamento codice rosa al momento della violenza...

Ecco alcuni punti di vista su cui possiamo riflettere e interagire:

Newsletter N° 1 - a cura di Serena Fuart del sito www.libreriadelledonne.it

#VD3

In Non basta avere ragione Gioconda Pietra, consigliera comunale a Sesto San Giovanni, racconta di un duro conflitto emerso alla notizia di un corso per sole donne mussulmane in una piscina comunale, in un orario in cui solitamente la struttura è chiusa al pubblico. A commento lei scrive: "Mi sembrava di dover ricominciare il discorso sulla libertà femminile, sull'emancipazione e la differenza, dall'inizio. Sono andata via, senza salutare, arrabbiata, disgustata e depressa" e racconta di come ha superato il "Senso di solitudine – e odio? - sentito anche quando in maniera tutt'altro che mascherata il potere si prende il posto della politica" ed è stata in grado di partecipare al dibattito cittadino.

PUNTO DI VISTA - CONTIBUTI

"Uno dei nodi che crea conflitto è la necessità di stabilire che la cultura dei paesi islamici sia più sessista e misogina di quella europea – scrive TK Brambilla in Colonia: che abbiano un mandante o meno poco importa. La misoginia patriarcale è la matrice (14 gennaio 2016) - questo genere di sguardo per leggere il mondo credo sia quanto di più lontano dall'esperienza femminile della libertà, che si realizza nel riconoscimento e nella relazione con l’altro da sé".

Salecina: Seminario delle donne, queer e femminista (dal 23 al 26 giugno 2016) "A tutte le ottimiste / scrittrici / fricchettone politicanti / cinefile e produttrici di tutti i generi": era introdotto così trent'anni fa l'invito che le organizzatrici del seminario rivolgevano alle donne che volevano discutere sul sistema del lavoro, della produzione e sul sessismo … abbiamo ripreso una tradizione quasi dimenticata e l'abbiamo fatta rivivere con successo".

Laura Colombo e Sara Gandini proporranno un workshop dal titolo: "La politica del desiderio".

"E così, anche questa volta, le vicende di Colonia hanno riaperto il dibattito sulla questione migratoria … mostrando l'uso strumentale delle donne, che diventano terreno di speculazione politica – scrivono Sara Gandini e Laura Colombo in Colonia: conflitti e mediazioni femministe – Per far fronte alla violenza sulle donne e uscire dal patriarcato la politica delle donne che noi amiamo punta sulle relazioni, sul conflitto e sulla mediazione, sul fare spazio dentro di sé per l’altro da sé".

"L'emendamento detto "Codice Rosa" … configura … un percorso obbligatorio … mette in pericolo l'incolumità fisica e psichica delle donne che subiscono violenza maschile, e rischia di compromettere l’emersione del fenomeno" – Il Pronto Soccorso si trasforma in trappola per le donne maltrattate (16 dicembre 2015)

PUNTO DI VISTA - DALLA STAMPA

"…è del tutto evidente che si è trattato di maschi, che, organizzati in branco, si sono scatenati nella caccia alle donne – scrive Franca Fortunato in Colonia: arabi non sono sicura, uomini sì (Il Quotidiano della Calabria, 11 gennaio 2016) - Maschi, solo maschi, che incarnano quella cultura della violenza e del dominio... È la "questione maschile" che mostra il suo volto globalizzato di uomini incapaci di rapportarsi alla libertà femminile".

Sempre sui fatti di coloni Ida Dominijanni in L'indice di Colonia su Internazionale scrive: "Assumere davvero lo stato dei rapporti fra i sessi e la libertà femminile come indici dello stato di una civiltà – o meglio, della crisi di civiltà in cui il mondo intero si trova – significa affrontare le contraddizioni comuni e trasversali alle civiltà che vengono rappresentate come contrapposte e in lotta fra loro. Significa combattere la brutalità del patriarcato islamico come i residui, o i rigurgiti, patriarcali nelle democrazie occidentali. E viceversa: significa anche e forse oggi soprattutto riconoscere i segni positivi di libertà femminile non solo nelle democrazie occidentali, ma anche nei paesi più patriarcali dei nostri".

PUNTO DI VISTA - DALLA RETE

"Girano un bel po' di stupidaggini sulla questione utero in affitto, che pur con ritardo è clamorosamente esplosa anche nel nostro Paese – scrive Marina Terragni in 9 domande e 9 risposte sull’utero in affitto (16 gennaio 2016) – "perché non si conviene sulla gratuità? perché si sa benissimo che nessuna donna si presterebbe a una Gpa, se non in cambio di denaro".

LA COSTOLA DI EVA E IL POMO D’ADAMO

"Da quel momento in poi la comunità si è dovuta pensare come comunità formata da donne e da uomini ... Ho capito subito una verità: che per vivere uomini e donne insieme era importante che la differenza fosse affermata – scrive Catherine Aubin in La differenza affermata dal vivere insieme (16 gennaio 2016 - Donne Chiesa Mondo. Osservatore Romano) - Doveva pertanto esistere una distinzione, al fine di evitare la divisione tra il ramo delle donne e il ramo degli uomini".

LIBERARTE

"La città sola, senza altre orme che quelle della «guazza» mattutina, è un flash che talvolta ci passa davanti, allora si cammina svelti, intimiditi da quell’intimità – scrive Francesca Pasini in Miracoli a Milano, Marina Ballo e Gabriele Basilico al Museo del Novecento (16 gennaio 2016) - Ci crogioliamo nell'angolo più confortevole della nostra casa, ma fuori l'intimità dà insicurezza".

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serenafuart
21 dicembre 2015 1 21 /12 /dicembre /2015 14:02
IL LUOGO PRIVILEGIATO DELLA SCONFITTA

ALTRI MODI DI GUARDARE LE COSE

Un luogo dove guardare le dinamiche ma anche intraprendere relazioni politiche e creative con altre fuori dai giochi di potere, fuori dalle dinamiche di successo che io chiamo negativo (quello che vuole l’assoluta attenzione e il controllo magari anche il denaro)…

Un luogo dove si può continuare a dare autorità alle mie simili nonostante forti conflitti non sempre costruttivi…

Dare autorità a una o più donne è qualcosa che genera ricchezza e libertà. Ma in caso di conflitto, si può continuare a dare autorità? Certo se il conflitto è sano, ma se non lo è? Ebbene è possibile, può capitare e non è buonismo ma amore per le donne e ricerca di libertà.

“L’autorità è una parola, una pratica, addirittura un modo di vivere molto difficile da metabolizzare nel mondo contemporaneo – scrive nel suo libro Autorità, Luisa Muraro.

L’autorità è valore ed eccellenza non è potere, come viene ben spiegato nel testo di Diotima Autorità senza potere.

“Anche l’autorità però agisce sulla libertà, essendo per suo mezzo che questa diventa un fattore dinamico: l’autorità mette in circolo la libertà che ne è origine e seguito. L’ordine creato dall’autorità è quindi un ordine che trova nella libertà il suo vero motore, che sopravvive grazie alla libertà, che si struttura su di essa, e che muore se questa viene a mancare. Potremmo definire l’autorità l’altra faccia della libertà, se per questa non si intende la libertà dell’individualismo ma quella che si dà solo a partire dalla relazione, ovvero da due in su – scrive Ilaria Durigon recensendo il libro di Luisa Muraro Autoritàà e cita le sue parole

“Propongo di combattere il circolo della forza con la forza simbolica dell’autorità che, senza essere in sé buona o cattiva, è orientata in senso relazionale, ammette il consenso libero e contende al potere il terreno della scommessa politica. Intendo la grande scommessa che riguarda la condizione umana e le esigenze più pressanti fra le quali, per un essere umano, dopo il cibo e la casa, c’è anche un minimo di giustizia e di verità”.

Svolgo un lavoro appassionante circondato da donne che andava alla grande finché ad un certo momento dell’anno sono insorte difficoltà forti che si possono spiegare in giochi di potere che hanno generato conflitti purtroppo non costruttivi. Conflitti che mi hanno fatto molto male perché mi facevano sbattere contro un muro di impotenza dovuto agli esiti vani dei miei sforzi.

Andrei fuori luogo andando nei dettagli ma posso dire di essermi sentita un’incapace dopo certe cose che mi erano state dette, dopo aver conflitto a lungo senza ottenere nulla.

E per un po’ ho tolto a loro tutto: autorità, energia e a loro volta anche loro mi hanno tolto delle cose.

E’ stata proprio una grande sconfitta.

Eppure, ad un certo punto ho capito che il luogo simbolico della sconfitta può diventare un luogo privilegiato. Il pensiero di Luisa Muraro che seguo da anni come quello di Maria Zambrano mi hanno insegnato a guardare la realtà fuori da un dimensione binaria e patriarcale. C’è un altrove e un altrimenti dove possiamo collocarci.

E sì, proprio così, la sconfitta può essere un luogo simbolico privilegiato: fuori dai giochi di potere, nell’ombra, come l’ombra di Maria Zambrano quando dice:

“Non comunicai a nessuno la mia decisione di abbandonare lo studio della filosofia, finché un giorno indimenticabile, credo nel mese di maggio, entrò un raggio di luce attraverso una tendina nera che copriva una delle fessure dell’edificio di San Bernardo che davano su un patio. Il professor Zubiri stava spiegando niente di meno che le Categorie di Aristotele. In un attimo io mi ritrovai, non tanto presa da una rivelazione folgorante, quanto pervasa da qualcosa che si è sempre rivelato più adatto al mio pensiero: la penombra toccata di allegria. E allora, in silenzio – nella penombra, più che nella mente direi dell’animo, del cuore – si dischiuse a poco a poco, come un fiore, la netta sensazione che non avevo forse alcuno motivo per abbandonare la filosofia”

E così creativamente ho iniziato a vivere il mio altrove. E guardare con occhi diversi quello che era successo, ricominciando a dare credito alle mie colleghe anche a quelle che non mi hanno sostenuto. Ho un amore innato per le mie simili. Non è buonismo o moralismo è attrazione per le donne, attrazione creativa e politica che significa relazionarmi anche con chi non mi va a genio, anche con chi posso avere dei problemi perché so che da una donna non posso che avere dei vantaggi scambiando autorità.

A poco a poco tutto comincia a cambiare: mi innamoro, sono felice, faccio al meglio quel che resta del mio lavoro valorizzandolo politicamente e creativamenete…

E l’autorità riprende a circolare.

C’era dell’energia d’amore positiva anche in mezzo a tutti quei conflitti. C’era competenza e autorevolezza e tanta autorità che andavano tutte riconosciute.

Si può riconoscere da qualunque prospettiva.

E dal mio luogo privilegiato della sconfitta le ho riconosciute.

E quando l’autorità ha ripreso a circolare tra me e loro sono arrivati i miei di successi. E tanti. Che mi fanno piacere, sarei bugiarda a negarlo…ma fino a un certo punto perché l’altrove dove mi sono trovata è il luogo simbolico in cui voglio stare principalmente.

E così creativamente ho iniziato a vivere il mio altrove. E guardare con occhi diversi quello che era successo, ricominciando a dare credito alle mie colleghe anche a quelle che non mi hanno sostenuto. Ho un amore innato per le mie simili. Non è buonismo o moralismo è attrazione per le donne, attrazione creativa e politica che significa relazionarmi anche con chi non mi va a genio, anche con chi posso avere dei problemi perché so che da una donna non posso che avere dei vantaggi scambiando autorità.

A poco a poco tutto comincia a cambiare: mi innamoro, sono felice, faccio al meglio quel che resta del mio lavoro valorizzandolo politicamente e creativamenete…

E l’autorità riprende a circolare.

C’era dell’energia d’amore positiva anche in mezzo a tutti quei conflitti. C’era competenza e autorevolezza e tanta autorità che andavano tutte riconosciute.

Si può riconoscere da qualunque prospettiva.

E dal mio luogo privilegiato della sconfitta le ho riconosciute.

E quando l’autorità ha ripreso a circolare tra me e loro sono arrivati i miei di successi. E tanti. Che mi fanno piacere, sarei bugiarda a negarlo…ma fino a un certo punto perché l’altrove dove mi sono trovata è il luogo simbolico in cui voglio stare principalmente.

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serenafuart
20 novembre 2015 5 20 /11 /novembre /2015 13:52
In memoria di Valeria e di tutte le donne e uomini del mondo intero vittime di ogni forma di violenza

In memoria di Valeria e di tutte le donne e uomini del mondo intero vittime di ogni forma di violenza

Riflessioni da articoli e riflessioni personali. A cura di Serena Fuart

La strage di Parigi lascia un'onda di dolore profondo e di assillante angoscia che sfocia da qualche giorno in comprensibilissime psicosi collettive e falsi allarmi.

Ma il massacro di civili, che sono sempre innocenti ed estranei agli interessi di organizza e semina morte, non riguarda solo Parigi...attentati, sparatorie, inaudibili violenze si consumano e si sono consumate in passato ma anche molto recentemente per stessa mano, l’unica differenza con Parigi è la collocazione geografica, più distante da noi occidentali. I media main stream ne parlano certo, ma non con lo stesso orrore e allarme, facendole passare come stragi ormai "di routine" che si consumano inevitabilmente là...lontano da noi e noi, occidentali non possiamo fare niente. Ma chiaramente non è così.

MA CHE ORIGINE HA QUESTA o QUESTE STRAGI?

Fiorella Cagnoni, scrittrice e prestigiosa intellettuale femmininista mi segnala un articolo al link

http://www.limesonline.com/parigi-il-branco-di-lupi-lo-stato-islamico-e-quello-che-possiamo-fare/87990

"Siamo in guerra? La guerra certo esiste, ma principalmente non è la nostra. È quella che i musulmani stanno facendosi tra loro, da molto tempo. Siamo davanti a una sfida sanguinosa che risale agli anni Ottanta tra concezioni radicalmente diverse dell’islam. Una sfida intrecciata agli interessi egemonici incarnati da varie potenze musulmane (Arabia Saudita, Turchia, Egitto, Iran, paesi del Golfo ecc.), nel quadro geopolitico della globalizzazione che ha rimesso la storia in movimento.

Si tratta di una guerra intra-islamica senza quartiere, che si svolge su terreni diversi e in cui sorgono ogni giorno nuovi e sempre più terribili mostri: dal Gia algerino degli anni Novanta alla Jihad islamica egiziana, fino ad al-Qaida e Daesh (Stato Islamico, Is). Igor Man li chiamava “la peste del nostro secolo”.

In questa guerra, noi europei e occidentali non siamo i protagonisti primari; è il nostro narcisismo che ci porta a pensarci sempre al centro di tutto. Sono altri i veri protagonisti.

L’obiettivo degli attentati di Parigi è quello di terrorizzarci per spingerci fuori dal Medio Oriente, che rappresenta la vera posta in gioco. Si tratta di una sorta di “guerra dei Trent’anni islamica”, in cui siamo coinvolti a causa della nostra (antica) presenza in quelle aree e dei nostri stessi interessi. L’ideologia di Daesh è sempre stata chiara su questo punto: creare uno Stato laddove gli Stati precedenti sono stati creati dagli stranieri quindi sono “impuri”.

E' anche vero che l'Occidente non è poi così innocente.

MARINA TERRAGNI, giornalista, autorevole di quotidiani e riviste, intellettuale femminista intervista Luisa Muraro e nel suo blog IO donna pubblica queste parole:

“La filosofa Luisa Muraro, che con lei è in relazione politica da anni, sui temi affrontati nell’articolo: Isis, Occidente, condizione delle donne. Partiamo dall’inumanità e dalla ferocia dei jihadisti, che secondo Aïcha sono “il prodotto di un’accumulazione storica di ignoranza e di frustrazioni… conseguenze di una lunga serie di aggressioni e umiliazioni subite dal mondo arabomusulmano fin dai tempi della colonizzazione; del sostegno occidentale ai regimi corrotti e tirannici nella nostra area (Saddam Hussein, Gheddafi, fintanto che servivano i loro interessi!); della rapina delle ricchezze di questi paesi da parte delle multinazionali;del perdurare dell’occupazione israeliana e del massacro della popolazione palestinese; della guerra in Afghanistan, di quella in Iraq, di quella in Libia… Senza dimenticare che l’islamismo radicale è anche una creatura degli Stati Uniti ai tempi della guerra fredda contro l’ex-URSS: Bin Laden era stato armato da loro”.

Marina: La chiave, dunque, per Aïcha è l’umiliazione. Analisi sulla quale si può facilmente concordare. Ma la diagnosi non costituisce una terapia: che cosa si deve fare per fermare Isis e le sofferenze che provoca? Luisa: . Il lavoro di Aïcha è provare a contenere e impedire il contagio del fanatismo tra i giovani maschi del mondo arabo musulmano, sia tra quelli che vivono in quei paesi sia tra i figli di immigrati nei nostri paesi. Lei lotta insieme a molte altre donne e uomini perché valga un’interpretazione più giusta dell’Islam e delle parole del profeta Maometto, contro la lettura fanatica e la rabbia vendicativa, peraltro già esplicitamente condannate da svariate autorità religiose

MA I KAMIKAZE, LE KAMIKAZE, CHI SONO?

Giovani che non ci stanno al vuoto di valori, che vedono l'occidente come un deriva che porta a solitudine e depressione...sono giovani che vogliono credere in qualcosa e vengono plagiati da una cultura della morte.

ecco cosa dice sempre Marina Terragni:

http://blog.iodonna.it/marina-terragni/2015/01/14/kouachi-coulibaly-e-gli-altri-perche-a-quei-ragazzi-non-piace-piu-loccidente/

“Dunque rap, birra, sesso, probabilmente canne, scarse prospettive: la vita media del giovane occidentale metropolitano. Poi un incontro che ha a che fare con le proprie radici, un passato che si spalanca come possibile futuro, l’adrenalina di un’identità vincente per cui combattere, il sogno del Grande Islam che vendica le umiliazioni subite dall’Occidente (Abu Ghraib ricorre come un’ossessione nelle biografie dei “martiri” parigini), le esercitazioni militari, il jihad.

Le storie dei foreign fighters si somigliano un po’ tutte.

E se, con discreto ritardo, si sta pensando a una superprocura europea, se le immagini della macchina della polizia che ingrana la retro di fronte ai kalashnikov dei guerriglieri Kouachi danno precisamente il senso dello sbigottimento, della sorpresa di fronte a un impensabile atto di jihad nel cuore d’Europa, chi lavora con la cultura e non con le forze dell’ordine a mio parere ha un altro compito: capire perché il modello occidentale, e segnatamente l’american way of life, il mito della frontiera raggiungibile da tutti, il sogno americano che ha trainato le speranze e i progetti generazioni di donne e di uomini, per queste giovani donne e per questi giovani uomini non funziona più. Perché gli viene preferito ben altro sogno.

Qui riproduco più o meno quello che dice Mr White, americano del New Mexico protagonista di “Breaking Bad”, una tra le straordinarie serie tv (“True Detective”, “Fargo”) che danno forma al nuovo romanzo americano. Mr White si ritrova in un bel casino, intrappolato in un camper con le batterie esauste e senza una goccia d’acqua nel bel mezzo del deserto: sta crepando. Sdraiato senza forze sulla branda, Mr White dice che è tutta colpa sua, che avrebbe dovuto pensarci prima, che è lui stesso responsabile della situazione in cui si è ficcato. Me lo sono meritato. Mi merito quello che mi capita. Un monologo paradigmatico -andrebbe ascoltato- insieme al resto: in tutte le serie, deserti e praterie senza frontiere né miraggi, spaesamento, perdita di ogni riferimento, solitudine, disastro delle relazioni -siamo il Terzo Mondo delle relazioni-, Dio che si affaccia qua e là come una possibilità.

L’America per prima dice che il suo sogno è finito: per loro, per noi, per tutti. E che ci vuole qualcos’altro da sognare. Un giovane occidentale, coetaneo dei foreign fighters, l’altro giorno mi diceva: “Qui non conta più niente: la famiglia, l’amicizia, i minimi valori. Solo i soldi. E i soldi non ci sono più”.

Ascolto con attenzione, mi chiedo quale sogno dovremmo metterci a sognare. Qualche vaga idea ce l’ho.

Ma mi chiedo anche se i giovani guerrieri, scaricata l’adrenalina e finita la droga del jihad (per il potere), ipoteticamente raggiunto il loro obiettivo dichiarato (Dio non voglia), il Grande Islam che domina il mondo, la sharia come legge universale con tutto ciò che ne consegue, poi in quel mondo ci si troverebbero davvero a loro agio: loro, nati e cresciuti bene o male liberi, nelle periferie di Parigi, Berlino e Milano, come starebbero in quel mondo di ubbidienza, oppressione, illibertà? Forse bisognerebbe insinuargli il dubbio.”

Ma la guerra, il sangue la violenza NON RISOLVE NULLA. Non esiste una guerra in nome della pace. Ce lo insegna la guerra in Iraq dopo l'11 settembre. Non solo non si è risolto nulla ma ...

Leggete un po’ qui: http://www.huffingtonpost.it/2013/03/20/iraq-dieci-anni-fa-linvasione_n_2913487.html:

"Il 20 marzo di dieci anni fa aveva inizio la Seconda Guerra del Golfo. L'invasione dell'Iraq da parte della Coalizione guidata dagli Stati Uniti, definita dagli oppositori del conflitto in tutto il mondo, la "guerra del petrolio".

L'obiettivo dichiarato, a un anno e mezzo dagli attacchi dell'11 settembre 2001, era la fine del regime di Saddam Hussein, accusato di volersi dotare di armi di distruzione e di legami con il terrorismo islamico. Molti alleati degli Usa, la Francia in testa, si rifiutarono di partecipare all'intervento in mancanza di un chiaro mandato da parte dell'Onu.

"Gli Stati Uniti - affermò Samir Sanbar, ex sottosegretario generale dell'Onu per l'informazione pubblica - non hanno avuto bisogno delle Nazioni Unite per andare in Iraq, ma ne hanno avuto bisogno per andarsene". Nel giugno del 2004, il consiglio di sicurezza adottò la risoluzione 1546, principalmente su richiesta di Gran Bretagna e Stati Uniti, per mettere formalmente fine all'occupazione americana in Iraq ed autorizzare l'istituzione di una forza multinazionale, guidata da Washington.

Come spiegò nel 2003 l'allora presidente Usa, George W. Bush, l'intento dell'operazione militare era di "disarmare l'Iraq, liberare i suoi abitanti e difendere il mondo da un serio pericolo". L'operazione, sottolineò Bush, era finalizzata ad assicurare "che i cittadini degli Stati Uniti ed i nostri amici ed alleati non vivano alla mercè di un regime fuorilegge che minaccia la pace con armi di distruzione di massa". Nel gennaio nel 2002, Bush aveva definito l'Iraq, l'Iran e la Corea del Nord come l'"asse del male".

Poco più di un anno dopo, a febbraio, Colin Powell, al tempo segretario di Stato americano, fornì al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite le prove secondo cui Baghdad stava continuando a lavorare alla costruzione di armi per la distruzione di massa e manteneva legami con organizzazioni terroristiche, ingannando sistematicamente gli ispettori delle Nazioni Unite.

Ma l'anno seguente fu proprio un rapporto del Senato Usa a riferire che gli elementi usati per il discorso di Powell furono ampiamente "ingigantiti, fuorvianti e sbagliati". Secondo gli esami delle autorità statunitensi non c'era una prova formale della cooperazione tra Saddam Hussein e al-Qaida e più tardi, inoltre, gli ispettori Onu confermarono che non erano state trovate armi di distruzione di massa.

Mentre la "coalizione dei volenterosi" impegnò complessivamente nel corso degli anni circa 300mila soldati, provenienti da 38 Paesi, gli iracheni erano almeno 400mila soldati regolari, oltre ai componenti della Guardia Repubblicana. Anche altre nazioni diedero indirettamente il proprio sostegno all'operazione, ma dal 2004 la coalizione cominciò ad assottigliarsi, prima tra tutte a lasciare il Paese fu la Spagna. L'Italia, la cui base principale era Nassiriya, si ritirò nel 2006, mentre le ultime unità statunitensi e britanniche se ne andarono nel 2011.

La guerra in Iraq è costata ai contribuenti americani 1700 miliardi di dollari, con altri 490 miliardi per l'assistenza ai reduci di guerra. Ad attestarlo uno studio pubblicato recentemente dal Costs of War Project, un progetto che stima i costi dei conflitti, del Watson Institute for International Studies della Brown University.

La ricerca, a cui hanno lavorato una trentina di esperti, fa anche una stima dei costi umani della guerra che ha ucciso almeno 134mila civili iracheni e contribuito alla morte di un numero almeno quattro volte superiore di iracheni in anni di continua instabilità.

Il rapporto fa infine uno studio combinato dei costi dei conflitti in Iraq, Afghanistan e Pakistan, parlando di un totale di quasi 4mila miliardi.

E che dire del kamikaze che ha pianto? Ecco ancora cosa scrive M. Terragni

Perché poi un terrorista kamikaze è questo:

Un ragazzino di 20 anni mandato a morire perché Allah è grande, perché lo hanno convinto che il jihadista non muore davvero (“Non considerate morti coloro che sono stati uccisi sul sentiero di Allah, sono invece vivi e godono della provvidenza del loro Signore“, Corano, terza Sura, versetto 169), ma che un momento prima di partire per la sua missione scoppia in un pianto disperato, perché inaspettatamente la vita gli urla dentro.

Come si ferma uno shahid? Che cosa dobbiamo essere capaci di dirgli, per convincerlo a vivere e a non uccidere? E come dirglielo? Qual è il punto che stiamo mancando? Quale la strategia che non stiamo attuando? Ed è pensabile poter procedere per via di umanità?

Quel pianto ci dà qualche indizio? Non somiglia, quel maledetto piagnucoloso bambino assassino, a uno dei nostri figli?

Dov’era sua madre, in quel momento? Che cosa è stato fatto a lei, per ridurla al silenzio?”

Io trovo la mia risposta in lei: Aïcha El Hajjami -(Via Dogana n. 111, dicembre 2014)

"La jihâd di cui abbiamo bisogno è quella del pensiero. Ha un nome nella nostra cultura: l’ijtihâd. Sì, è dell’itjihâd che abbiamo bisogno per rinnovare il nostro spazio culturale e trasmettere i veri valori dell’islam alle nuove generazioni: i valori di pace, fraternità, giustizia e uguaglianza. Questa è la responsabilità di tutti e di ciascuno di noi, potere politico, società civile, cittadini e intellettuali, uomini e donne. Anch’io sono scivolata nell’utopia? Mi permetto di sognare!

(Traduzione dal francese di Silvia Baratella, Via Dogana n. 111, dicembre 2014)

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serenafuart
23 ottobre 2015 5 23 /10 /ottobre /2015 19:02
IL VALORE POLITICO DELLA FANTASCIENZA
RIFLESSIONI SU FUOCO E NEVE, novella di Anna Tarocchi
contenuta in “L'opera tela racconto” a cura dell'associazione culturale cinema&scrittura: MACCHINA DEI SOGNI

La fantascienza è un tipo di cultura che permette di cambiare visione delle cose, collocandosi in un orizzonte spazio - temporale diverso. Da altre prospettive è possibile, infatti, riflettere e vedere tante situazioni in modo diverso e nuovo. Per questo ritengo, e non sono certo la sola, che i racconti di fantascienza abbiano un forte valore politico oltre che naturalmente letterario, che può portare alla rottura degli schemi e alla creazione di un altro tipo di società. La rivoluzione che è in grado di scatenare la cultura della fantascienza mi piace accostarla come metodo alla rivoluzione del femmismo la cui cultura si è riposizionata in una dimensione altra rispetto la cultura dominante creata dall’uomo (e spacciata da questo per cultura universale) e ha decostruito molte impalcature del sistema.

Ma, molto spesso, la fantascienza che leggiamo nei romanzi attuali o vediamo al cinema segue una trama main stream che presenta un'infinità di effetti speciali e scene di sesso senza contemplare l’apertura di spazi di riflessione o di pensiero...

Leggo Fuoco e Neve e mi ritrovo in un altrove altrimenti, in un'altra dimensione...una posizione privilegiata che mi ha fatto guardare il mio presente, il nostro presente, con altri occhi. Mi sono vista diversa e più piccola: i miei dolori sono diventati insignificanti e relativi mentre le mie responsabilità verso me e il mondo più grandi e importanti. Si sono aperti spazi di pensiero.

La storia è ricca di suspence e riguarda due donne, una delle quali, dando autorità all'altra riesce a capire e far luce su questioni fondamentali che ci interessano tutte e tutti. Con una scrittura leggera, calibrata ed emotiva (mi piace chiamare così quell'arte di accostare parole che suscita emozione)...fa divorare le righe…sperando in un seguito!

Non a caso si tratta di una scrittrice (e non di uno scrittore) con una consapevolezza politica e culturale non certo irrilevante…

Serena F.


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serenafuart
14 settembre 2015 1 14 /09 /settembre /2015 13:45
SINDACA, AVVOCATA, DIRETTORA…LA CONTROVERSA QUESTIONE DEL FEMMINILE NELLE PROFESSIONI

Please, chiamatemi direttore! (Christine Lagarde, inaugurazione anno accademico della Bocconi).

VENERDI' 18 SETTEMBRE 2015 ORE 21

Se è vero che il linguaggio crea la cultura, il femminile nelle professioni può fare realmente la differenza? Vediamo e discutiamo insieme i vari approcci delle teorie femministe sul tema a partire dal pensiero di Alma Sabatini (intellettuale, linguista femminista italiana che ha curato Il sessismo nella lingua italiana).

Introduce Serena Fuart.

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serenafuart
8 luglio 2015 3 08 /07 /luglio /2015 13:30
SERENA E IL CANTO

Sono Serena F. ho 40 anni, canto da quando sono bambina dapprima in vari cori poi successivamente da solista.

Ho studiato 10 anni canto lirico ma mi sono esibita soprattutto in ambito della musica leggera nel corso di serate.

Ho superato l'esame di teoria e solfeggio al Conservatorio G.Verdi di Milano

Il mio repertorio

Elisa

Cranberries

Matia bazar

Irene grandi

Laura Bono

Canzoni francesi

DEMO DAL VIVO - CLICCA SUL TITOLO

A FEAST FOR ME – ELISA

BRUCI LA CITTA’ – IRENE GRANDI

MR WANT – ELISA

TURN BACK TIME

THE BEST FOR LAST - VANESSA

IO NON CREDO NEI MIRACOLI - LAURA BONO

JE M'APPELLE HELENE

FRAGILE - FIORELLA MANNIOIA

L'amore esiste - Francesca Michielin

Una poesia anche per te - Elisa

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serenafuart
6 luglio 2015 1 06 /07 /luglio /2015 20:54
COLEI CHE HA CAMBIATO LA MIA VITA

DOMENICA 12 LUGLIO

ALLE ORE 19,30

ALVEARE MILANO

VIA DELLA FERRERA 8

COLEI CHE HA CAMBIATO LA MIA VITA. RACCONTA UN’ARTISTA, UNA CANTANTE, UNA SCRITTRICE CHE TI HA APERTO LE PORTE A NUOVI ORIZZONTI

Tutte noi abbiamo una donna nel mondo dell’arte che ci ha aperto la strada alla conoscenza di noi stesse e il mondo. Che ci ha ispirato , che ci guida con il esempio di vita e di lavoro artistico

PER IL CICLO CONVERSAZIONI IN GIARDINO,

raccontiamo le donne nell’arte, musica, scrittura ecc che sono state per noi significative. E così via in un circolo di positività e forza illimitato A cura di Serena Fuart

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serenafuart